Se bastassero le bombe
Afghanistan, guerra o missione di pace?
Afghanistan, guerra o missione di pace? È forse dal 2001, dall’inizio delle operazioni militari che molti si pongono questa domanda. Quello che è certo è che in Afghanistan si combatte. Tuttavia i conflitti di oggi sono molto diversi da quelli classici. Non ci sono in campo eserciti schierati. Spesso i contendenti non sono nemmeno Stati. In Afghanistan l’Onu ha autorizzato una missione tesa a rimuovere una minaccia alla sicurezza internazionale, costituita dal regime talebano, che pianificava e compiva azioni di terrorismo su vasta scala (come per le Torri gemelle). Per la verità convivono in Afghanistan diverse “missioni”: quella americana (enduring freedom), più di combattimento “attivo” nei confronti delle roccaforti talebane; e quella Nato-Isaf che, in teoria, dovrebbe rispondere più a criteri di stabilizzazione e di messa in sicurezza della popolazione.
Siamo ora arrivati ad una situazione in cui è sempre più difficile distinguere i differenti livelli di impegno, anche perché i talebani portano i loro attacchi verso zone che prima ne sembravano immuni.
In questo contesto, ha senso parlare di «bombe» sugli aerei italiani impiegati in Afghanistan? Il punto è che i nostri militari sono vittime di iniziative subdole, non di azioni di guerra propriamente dette; gli automezzi sono colpiti da ordigni posti ai lati delle strade. Aumentare il livello degli armamenti non è detto che serva. Anzi, gli attacchi con armamenti pesanti contro piccoli gruppi senza scrupoli, che si nascondono in centri abitati, possono produrre vittime innocenti (come colpire gli invitati ad un matrimonio o i partecipanti ad un funerale: è già accaduto).
In generale, elevare l’intensità delle operazioni militari, mentre lo stesso governo Karzai avvia contatti negoziali con i talebani, corre il rischio di essere una mossa in controtendenza. Una cosa è certa: non esiste vittoria militare in Afghanistan. La via d’uscita, la famosa exit strategy (e anche la “strategia di transizione”) non viene dall’esterno, ma dall’interno dell’Afghanistan, che non può essere lasciato a sé stesso proprio ora, se non altro per la responsabilità che la comunità internazionale ha assunto dopo nove anni di presenza, quale che sia il giudizio che se ne possa dare.